“Matteo Renzi ..raccontato da La Nazione”

Quando Matteo Renzi si candidò a sindaco di Firenze questo blog lo seguì passo passo verso la sua elezione..oggi che questo bravo ragazzo ha intrapreso la strada per Roma,ilmondomyblog, seguirà l’evolversi della sua campagna elettorale.

Il quotidiano “La Nazione” ha pubblicato in questi giorni la vita del baby Renzi e con piacere ripropongo l’articolo che la giornalista Ilaria Ulivelli scrive per lettori!

Articolo tratto da La Nazione di Ilaria Ulivelli

 

Foto tratta da http://www.lanazione.it/


Matteo story: Renzi, il chierichetto già leader

Chi è Matteo Renzi, l’uomo del momento? Vi raccontiamo i suoi primi 37 anni, attraverso la testimonianza di compagni di scuola, amici, ex insegnanti e di chi lo conosce bene

 Nato per vincere. Sempre. “Se le partite non si mettevano per il verso giusto, addio. Si andava avanti finché la sua squadra non vinceva”, racconta l’ex compagno di giochi Riccardo.

Nel Renzi di ‘Adesso’ c’è la traccia incancellabile di un’infanzia da Renzino la peste, un bambino che “da grande voglio fare il giornalista”, sognando però di avere i piedi di Antognoni o Baggio. Il calcio, una monomania. Con tutti quegli Almanacchi zeppi di informazioni da mandare a memoria. E poi il tifo per la Fiorentina: cuore viola forever. Ci ha anche provato, sulla via del pallone, ma non era cosa: dopo una lunga trafila in tutti i settori giovanili della Rignanese, ha deciso di fare l’arbitro. Da piccolo, giocava con gli amici sotto casa: alla pista (da pattinaggio) della chiesa.

“Quando nella conta per la scelta dei giocatori gli capitava di discutere o di non trovarsi d’accordo con qualcuno, lui, che quasi sempre portava il pallone, lo prendeva e si smetteva di giocare. Fine”. Paolo Nannoni descrive Matteo bambino, come vederlo: praticamente un riassunto del candidato senza paura alle primarie del centrosinistra per correre da premier.

 

Nannoni è il braccio destro di babbo Renzi, Tiziano, che, a dispetto del nome, è sempre stato democristiano: un gran signore della Dc, poi trasmigrato nel Pd (di cui ora è segretario di circolo), in un paese arcirosso della rossa Toscana, a 30 chilometri a Sud di Firenze, puntando verso Roma: Rignano sull’Arno.

Il paese della Renzi’s family conta 3.500 abitanti nel centro abitato, 8mila e tot su tutto il territorio comunale. Non è cresciuto in una metropoli il giovane Obama italiano. Sempre Nannoni, ai tempi di Renzino arbitro che non aveva ancora la patente, lo accompagnava alle partite e restava allo stadio per riportarlo a casa: “Gli arbitri rischiano di beccarsi parecchie offese alla mamma. Non mi pareva il caso”.

Siamo nel 1993, in Italia qualcosa si muove, anzi molto si è già mosso. Tra l’anno di Mani pulite e l’anno della più famosa discesa in campo della storia politica contemporanea: comincia l’era Berlusconi. Matteo Renzi ha diciott’anni, li ha compiuti l’11 gennaio: a giugno ha ottenuto la maturità al liceo classico Dante, a Firenze, in piazza della Vittoria. Un anno prima rispetto ai compagni. Perché Renzino la peste ha fatto tutto prima. “Ha imparato a leggere il giornale a cinque anni e lo leggeva a voce alta, per tutti – dice Nannoni -. Quando ha fatto la primina, e allora non era una moda, sapeva già leggere e scrivere e tenere di conto”.

A scuola, all’elementare De Amicis, era il pupillo della maestra Eda Caldini Buonamici: ora lei non c’è più, ma Matteo è stato il suo orgoglio. Lo ha sempre detto. “Prendeva voti altissimi, era bravo, il primo della classe”, racconta Riccardo. Ci tiene però a dire che Matteo non era un secchione. “Studiava il giusto, gli piaceva molto leggere, e sapeva già difendersi molto bene a parole: usava un linguaggio appropriato, forbito, insomma sapeva parlare. Una caratteristica che gli è rimasta. Ma a quel tempo soprattutto ci piaceva giocare e giocavamo a tutto. E lui voleva sempre e solo vincere”.

Già, vincere. “Giocavamo a calcio, anche in casa, con il pallone di gommapiuma. A casa di Tiziano, che aveva un corridoio lungo lungo – dice Riccardo -. Poi giocavamo a subbuteo, a tappini, facevamo interminabili tornei di ping pong, gare in bicicletta”.

Non solo la scuola, i giochi, il calcio e l’amore per la Fiorentina. Nell’infanzia di Renzino la peste c’è la parrocchia e la formazione da boy scout.

“Era un leader, un leader per natura”, racconta don Giovanni Sassolini, il parroco che ha preso per mano Renzino la peste. Serviva messa, Matteo. “Un bravo chierichetto”, dice don Giovanni che ora è vicario generale della Curia di Fiesole.

“Approfittavo della sua disponibilità anche perché abitava di fronte alla chiesa e a me non piaceva fare il don Camillo da solo, a portare la croce ai funerali”. Poi uno sketch da morire dal ridere: “Aveva dieci anni e il ciuffo, si divertiva a buttare i capelli indietro con la mano: nello spettacolo parrocchiale fece l’imitazione di Vittorio Sgarbi. Quanto ci siamo divertiti”. 

 

 – Questa è bella. Ai tempi del liceo, a Matteo Renzi davano del comunista. Del cattocomunista, per la precisione. Chissà se qualcuno lo ha detto a quella parte del Pd che lo immagina un po’ un Berlusconi in salsa pop contemporanea. Studiava al classico Dante, a Firenze. Era uno dei migliori della classe, sezione A. Il testimone è Giuseppe Cancemi, professore di storia e filosofia: «Chi, quel fascistone?», ci scherzava su Renzi. Posizioni diverse, andava così. Era già un rottamatore (di professori) quando si è diplomato, nel ’93: Berlusconi si scaldava per scendere in campo e il Pci aveva già svoltato nel Pds. «Anche se io non votavo da tempo, e non si poteva dire che fossi fascista, Matteo mi era congeniale: contrastandomi con la sua forza dialettica, creava l’atmosfera migliore per fare bene il mio lavoro — racconta il prof —. Per parlare due o tre ore con trenta ragazzi di storia e filosofia, ci vuole animazione, e lui sì che sapeva farla». «Senza dubbio era già un leader — sentenzia il prof —. Un leader comunista, anzi, catto-comunista. Il maggiore esponente della lista della sinistra studentesca». La faccenda del leader è una costante della Renzi story. Lo hanno detto anche gli amici dell’infanzia e dei giochi: «Matteo era un capo e voleva vincere sempre, sennò portava via il pallone e tutti zitti». E questo, con la dialettica, checché ne dica il prof Cancemi, magari ha meno a che fare. 

 

 

Dalla parrocchia ai lupetti tutti per uno il passo è stato men che breve per Renzino la peste, un passaggio quasi naturale: in casa, mamma Laura e babbo Tiziano, erano capi scout. La filosofia di vita era indicata. «Lui ha seguito con entusiasmo tutto il percorso da lupetto a capo: lo hanno iniziato i genitori che erano i capizona di Rignano — racconta il parroco don Giovanni Sassolini con cui Matteo ha fatto comunione e cresima, ora vicario generale della Curia di Fiesole —. Ci furono delle discussioni nel gruppo di Rignano, i genitori di Matteo finirono in minoranza e si spostarono di zona a Pontassieve. Lui era ancora un lupetto e li seguì. Conobbe a Pontassieve, tra gli scout, Agnese: ora è sua moglie».

Anche se altri biografi renziani raccontano che Agnese, Matteo l’avesse già conosciuta prima, sicuramente negli anni degli scout, del noviziato e del clan, il loro rapporto si è solidificato. «Onestà, lealtà, sincerità ed essenzialità», la filosofia scout insegna a vivere, spiega don Sassolini: «Ti puoi perdere ma ritroverai sempre la strada, perché c’è sempre una soluzione, basta cercarla». Mica poco. Tra l’altro, un Renzi poco più che ventenne, divenuto capo scout, proprio a una riunione dei capi del Valdarno, rottamò in pubblico le idee del babbo Tiziano. Due volte rottamatore prima del tempo, di prof e di babbo. «Ai tempi degli scout Matteo era una persona molto appassionata, faceva tutto con gioia, ma portava sempre spunti di riflessione utili a tutto il gruppo», racconta Matteo Spanò, presidente della Banca Credito Cooperativo di Pontassieve e presidente, designato dal sindaco e amico Matteo Renzi, del Museo dei Ragazzi di Firenze. «Aveva una grande capacità di mettersi in cammino», dice Spanò. Una caratteristica che ha portato con sé nell’età adulta.

 

Non potendo fare una carriera da calciatore al top, come le mezzale del suo cuore, abbandonata la scena da Renzino la peste e poi anche quella della pista da pattinaggio della chiesa, e infine la rosa under della Rignanese, scelse di fare l’arbitro. Un incubo per il babbo Tiziano. Che temeva per la sua incolumità fisica, insulti a parte. «Le regole erano il pallino di Matteo, le ha sempre fatte valere», racconta don Giovanni. Con Renzi, che quattro anni dopo mollò, cominciò anche il fischietto fiorentino Gianluca Rocchi, arbitro di serie A. (continua)

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“Matteo Renzi ..raccontato da La Nazione”ultima modifica: 2012-09-23T19:58:00+02:00da cri1950
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