“Quel piccolo bambino”

 

Vecchio Meyer storia fotografia 7

 

Era una famiglia umile ma felice. Babbo, mamma, tre figli maschi e una sola femmina. Gino, il più piccolo, era un bambino paffutello di appena tre anni e quel 1901  fu l’anno che segno’ pesantemente la sua vita. Giocava  spensierato e vivace con il fratello più grande Beppe, in tempi nei quali anche un pallone era un gioco da ricchi, il loro passatempo preferito era saltare come veri e propri acrobati sulle reti del circo, sul letto dei genitori.

” Salta più in alto Gino!” – incitava il fratello maggiore al piccolo più in carne. Il bambino rideva e continuando il suo gioco. Uno, due, tre, quattro salti sempre più in alto da una parte all’altra del letto… Poi un tonfo sordo, silenzio e poi un pianto interminabile. Il bambino riverso sui mattoni freddi del pavimento non riusciva  a placare il suo dolore,il piccolo piedino irrimediabilmente compromesso. Arrivarono carrozza e barellieri che trasportarono  Gino dalla sua casa di Lastra a Signa al Meyer. Quella carrozza costò quasi venti giorni di salario a  suo padre. Trascorsero tre  anni lunghi e senza fine da quel giorno nei quali la mamma rimase sempre a fianco del suo figlio più piccolo. Due viaggi al giorno dalla Lastra fino a oltre il centro di Firenze: uno in carrozza e l’altro a piedi. Chilometri da percorrere con fatica perchè Carla, la mamma di Gino, non si poteva permettere di pagare due corse per abbracciare il suo piccolo.

In quell’ospedale si ritrovavano, come oggi, tutti i bambini della città: ricchi e poveri, senza distinzioni. E  anche Ida era li, lei figlia di un gioielliere proprietario di due negozi di Ponte Vecchio fu  ricoverata per un attacco di appendicite. Era con sua mamma Amelia lungo il corridoio del reparto quando vide un bambino che non camminava con sulle proprie gambe come ogni essere umano, ma si trascinava a fatica sul pavimento con le natiche,teneva le mani salde in terra dandosi tanta forza nella schiena per riuscire a fare qualche centimetro.

Quella scena rimase negli occhi di Ida per tutta la vita, anche dopo 18 anni quando incontrò di nuovo, inconsapevolmente Gino. Lui frequentava la cerchia delle sue amicizie  ma inizialmente la bellissima ragazza non aveva ancora capito di avere davanti  quel bambino che “camminava” strascicandosi, come un soldato ferito in guerra, sul pavimento del Meyer.Gino un ragazzo che si stava avviando, determinato e sicuro verso la fortuna. Ragazzone di bell’aspetto, imponente nel fisico e dal cuore d’oro ma con uno scarpone ortopedico al piede sinistro.  Lui così determinato a raggiungere il successo, lui con la voglia di farcela, con la fatica, con la creatività, con il lavoro. Arrivare e riuscire ad abbattere le barriere della sua “diversità” con la caparbietà e la voglia di sentirsi un gradino sopra agli altri. Potersi permettere tre mesi di vacanza al mare con la sua futura moglie, ricoprire di agi i suoi figli. Voleva costruire un quadro perfetto di vita dove ogni mattone era posizionato al suo posto. Una vita come quella che aveva vissuto nella sua famiglia, unita e felice, anche con pochi denari a fine mese in cassa. Ma lui lottava per sentirsi uguale agli altri, per non dover guardare i più ricchi con gli occhi di chi desidera le cose che non ha, poter fissare gli altri negli occhi senza il peso di quello scarpone nero sulle spalle.

Ci son strade di vita che si costruiscono e altre che la vita ti regala senza tu chieda niente. Come successe a Gino e Ida. Il destino volle che si rincontrassero da grandi e che si sposassero. Che avessero due figlie, Tina e Tecla. Il destino volle che Gino diventasse prima direttore di una delle più grande aziende di Firenze e del mondo e poi, negli anni della guerra, uno dei più conosciuti commercianti del centro. Una vita felice, con quella felicità che Gino ha sempre cercato arrancando come un assetato in cerca di acqua nel deserto e che a volte si trova.  Ci si incontra.. magari da piccolissimi  e poi ci si rincontra nuovamente da grandi. E’ quel grande amore che Gino non ha lasciato più.

Vecchio Meyer storia fotografia 2

“Quel piccolo bambino”ultima modifica: 2008-01-12T10:30:00+01:00da cri1950
Reposta per primo quest’articolo

Un pensiero su ““Quel piccolo bambino”

  1. una storia bellissima,ma che nasconde anche molta tristezza,dolore,un dolore che sembra non alleviarsi mai,che strugge dentro,e che ti soffoca,ma che è ricco d’amore di voler superare tutto con l’amore,ma credo che la vita sa essere crudele,oppure favolosa noi diciamo che si tratti di fortuna,ma cosa sappiamo della vita,e cosa diamo noi alla vita.ciao,i tuoi saluti mi arrivano puntualmente,e li aspetto con vero piacere.

Lascia un commento