“La Fata Turchina dei Tassisti Fiorentini”

 Fu diversi anni fa se non erro,per la festa dell’Epifania che in Piazza del Duomo per la prima volta mi accorsi di questo “bizzarro Taxi “, coloratissimo, stracolmo di pupazzi guidato da una bella signora bionda con in testa un cappello di paglia.

Era fermo  e circondato da tanti bambini festanti. Per curiosita’ mi avvicinai tenendo stretto alla mia mano il piccolo Leonardo (mio nipote).

La bionda signora era scesa e da un sacco di iuta stava regalando doni ai bambini presenti.

Mio nipote essendo molto timido cercava in tutti i modi di allontanarsi e per questo fu notato

da quella che io oggi chiamo “la Fata Turchina” che con amore porse a Leo una macchinina verde.

Fu  nel tempo  leggendo La Nazione  che venni a conoscenza della storia di Milano 25 il Taxi dei bambini e della loro Fata Turchina…

                                                                                       Cri

PS. Non perdetevi questo articolo di Cecchi, merita, leggere  storie come questa.

 

 La Nazione: ultime notizie

 Articolo ripreso dal quotidiano La Nazione

‘Milano 25’, taxi della speranza: guida la fata Caterina

Un taxi disneyano per le strade di Firenze, condotto da un personaggio un po’ moschettiere di Dumas un po’ fatina nordica. Sembrerebbe un’avventura fantastica, quella di Caterina Bellandi, di quelle raccontate da Frank Capra, che la vita è meravigliosa. E invece è semplicemente la storia di una piccola rivoluzione privata

Dall’inviato Stefano Cecchi

 Firenze, 12 gennaio 2009 – Frank capra ci avrebbe fatto un film, Isabelle Allende un libro, Modugno una canzone e, se fossimo a New York, avrebbe già avuto dedicata una copertina del Time. “Invece qui a Firenze tutti pensano che io sia una mezza grulla”, è giù una risata ariosa come un davanzale. Caterina Bellandi ha 43 anni e fa la taxista. Il suo taxi, Milano 25, è impossibile non riconoscerlo nel traffico. Arcobaleni, mongolfiere e paesaggi fantastici a colorare la carrozzeria e dentro pupazzi di peluche, caramelle e trombettine ad accogliere sui sedili il cliente. Alla guida, poi, sempre lei, cappello da fata in testa e mantello sulle spalle. Un taxi disneyano per le strade di Firenze, condotto da un personaggio un po’ moschettiere di Dumas un po’ fatina nordica. Sembrerebbe un’avventura fantastica, la sua. Di quelle raccontate da Frank Capra, appunto, che la vita è meravigliosa. E invece è semplicemente la storia di una piccola rivoluzione privata, non ispirata da filosofie junghiane o trascendenze mistiche ma dalla saggezza basic di un cartone animato (cfr. Tilly: “Cerca il tuo talento”), capace di trasformare una borghese “di quelle attente all’aperitivo, al locale alla moda, alla griffe”, in una stralunata e formidabile venditrice di sogni.

Fino a qualche anno fa, infatti, Caterina a tutto pensava tranne che a guadagnarsi la vita guidando un taxi. Pratese di buona famiglia, un padre industriale, la sua vita borghese pareva già disegnata. Solo che, col matrimonio andato a rotoli, è arrivato lo strappo, sotto forma di un amore travolgente (un taxista appunto) finito troppo in fretta per la morte del compagno, Stefano. Siccome quest’ultimo prima di morire per un tumore le aveva detto: “Tu sarai Milano 25”, lei, per continuare a portare Stefano nel cuore, un giorno ha piantato il lavoro da impiegata ed è salita al volante del taxi, dando alla scelta una sua impronta. E’ cioè colorando di margherite il cofano della vettura. Sembra un libro dell’Allende, invece è andata proprio così.

Si sa, nella vita i grandi cambiamenti avvengono a tappe. Una, fondamentale, capitò quando sul taxi di Caterina salì la famiglia di Paolo e Barbara Bacciotti. Con loro c’era la piccola Costanza. “Al solito – racconta Caterina – cominciai a chiacchierare. “Perché non fate un fratellino?“, chiesi. E Costanza: “Ce l’ho già, ma è in cielo””. Un colpo al cuore. Il dolore raccontato con la tenerezza di un bimbo, ma lo stesso che lei aveva conosciuto durante l’agonia di Stefano. Il dolore che cambia le cose. Da quel giorno decise semplicemente di diventare più utile. La strada per la sua serenità. Iniziò così a fare piccoli grandi gesti. Come quello di non far pagare la corsa ai genitori che portavano i figli malati al Meyer, l’ospedale pediatrico di Firenze (“Avete presente cosa sono due genitori ai quali i medici hanno appena detto: suo figlio ha un tumore? La loro vita in un attimo diventa un’altra cosa”). E siccome le piccole grandi cose per essere conosciute non hanno bisogno di molto, oggi da tutt’Italia i genitori che portano i figli malati al Meyer dalla stazione chiamano lei: ‘Milano 25’. E Caterina ogni volta corre, stregando subito i bambini e diventando la loro amica inseparabile. In quale modo? Semplice: facendoli sognare e mantenendo loro le promesse che fa.

Con la sua auto oramai completamente tappezzata di disegni, è arrivata fino a Londra perché Luca, al quale per un tumore avevano amputato una gamba, voleva fare con lei una corsa sul Tamigi. Amarildo, invece, poco prima che morisse, lo ha portato fino a Valona con i genitori perché lui voleva arrivare a casa con “quel taxi che sembrava uscito da un cartoon di Walt Disney”. Come si fa ad arrivare in Albania senza l’assicurazione? (“L’avevo dimenticata a casa, sono una sbadata”). Semplice: si chiede aiuto alla gente. “Se vede che non te ne approfitti, la gente ti apre il cuore”. Caterina, con i suoi mille braccialetti, i ninnoli al collo che fanno rumore (“così quando arrivo al Meyer i bambini sentono subito che sono lì”) è una straordinaria apritrice di cuori. Il segreto – dice – glielo hanno insegnato i bambini di un orfanotrofio a Mosca, dove era arrivata (col suo taxi ovviamente) per seguire quell’altro angelo colorato che è Patch Adams, il medico inventore della clownterapia: “Appena entrata mi sono corsi incontro gettandomi le braccia al collo. Avevano capito che per ricevere amore devi dare amore”. Dare amore per ricevere amore. Bella equazione, semplice, da usare in ogni occasione. Perché il mondo non è fatto solo di bambini malati e di sogni da realizzare con il pongo della fantasia.

Successe la notte di Capodanno, un po’ di tempo fa. Caterina era in servizio quando un marocchino ubriaco si avvicinò alla sua auto: “Scommetto che non mi fai salire neppure tu, puttana!”. Poi si sbottonò i pantaloni e iniziò a pisciare sulla maniglia della portiera. Caterina non si scompose. Scese dal taxi e, mettendo la mano proprio sulla maniglia dove l’extracomunitario aveva compiuto il suo oltraggio, aprì la porta: “Prego, sali. Dove andiamo?”. Non gli fece neppure pagare la corsa. Lui scese e la ringraziò: “L’ho semplicemente spiazzato con l’amore. Da allora tutta la comunità maghrebina mi rispetta. Perché l’ho fatto? Perché era l’unica strada che avevo per poter continuare a essere me stessa. Di notte, una con i miei cappelli e un taxi così, non puoi non dare nell’occhio. Sono stata costretta ad essere migliore”.

Stupire con l’amore. Caterina lo fa attraverso l’Onlus che ha creato. Soprattutto, lo fa con i suoi mille bambini malati che la chiamano Zia Cat. Ultimamente per loro si è inventata una storia meravigliosa (come avrebbe appunto cantato Modugno). Li disegna come fossero supereroi. Ma in maniera inconsueta: se un bambino ha un tumore a una gamba, il suo personaggio ha dei poteri straordinari proprio alla gamba malata, così da poter curare tutti gli altri bambini. Il dolore e la sofferenza come chiavi per diventare straordinari. “In fondo – dico loro – anche la ‘zia’ ha affrontato il dolore per diventare straordinaria”.

Per questo suo modo di fare, i medici del Meyer spesso si infuriano. “Vorrebbero che i malati fosse considerati ‘normali’. Non riescono a capire che per un bambino la chemioterapia, quella che loro chiamano l’avventura, resterà sempre nella loro vita come qualcosa di straordinario. E poi non capiscono che io non sono normale. Io sono eccessiva. Ma il mio eccesso visivo mi serve per entrare nel cuore dei bimbi”. Entrare nel cuore dei bambini e per questo vestire quotidianamete i panni di un fumetto. “Oramai ho quasi rinunciato alla mia vita personale. Se voglio trovare un nuovo compagno dovrò prima o poi svestirmi, chi si fidanza con un cartone animato? Prandelli sì, ecco, lui lo potrei sposare. Sa cos’è il dolore, ma non lo conosco. Se magari qualcuno me lo presenta… Perché faccio tutto ciò? Forse perché così sto salvando la mia anima”. Già, l’anima, Dio, la religione. Quando si cammina ogni giorno fianco a fianco con la morte dei bambini, è difficile conservare certezze, alimentare la fede: perché, se Dio esiste, dovrebbe colpire con un tumore un piccino di 10 anni? “Questa domanda – sorride Caterina – me lo sono posta spesso anch’io, ma la risposta migliore me l’ha data proprio una bambina: “Perché se no nell’aldilà ci sarebbero solo i nonni e le nonne”, mi ha detto. I bambini a volte spiazzano”. Proprio come l’amore.

Dall’inviato Stefano Cecchi

“La Fata Turchina dei Tassisti Fiorentini”ultima modifica: 2009-01-12T17:50:00+01:00da cri1950
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5 pensieri su ““La Fata Turchina dei Tassisti Fiorentini”

  1. Cara Cristina,
    sono contento che l’influenza ti sia passata
    sia ben chiaro che se in questi 2 giorni non ti ho scritto non è stato certo
    per la paura del contagio…ma solo perché sono stato molto impegnato con il lavoro

    La storia di questa donna è un esempio,
    .. la dimostrazione del fatto che non tutto è perduto in questo mondo
    (tra l’altro la conoscevo già perché qualche tempo fa
    ne avevano parlato anche alla televisione)

    Non dimentico quella cosa,
    anzi, credo che sarà una bella esperienza
    da ripetere ogni anno magari..

    a presto
    mimmo

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